Un luogo sospeso nel tempo

È molto difficile stabilire con certezza il periodo di nascita e primo sviluppo dell’insediamento. Una teoria non sufficientemente suffragata da prove ipotizza una relazione con un più antico villaggio, detto Selene, il cui nome deriverebbe dal greco Seleni.

Probabilmente il centro abitato si formò in epoca romana e, dal XVI secolo in poi ebbe una storia molto simile a quella di Nuoro, di cui divenne formalmente una frazione circa due secoli fa.

È però solo dalla fine del XV secolo che le notizie sono suffragate da documenti d’archivio.

Lollove fece parte della diocesi di Ottana fino alla sua soppressione del 1495. Da quell’anno fu canonicato della diocesi di Alghero. Il primo documento ufficiale su Lollove risale al 1590: si tratta della relazione del vescovo di Alghero Monsignor Baccallar dove è riportato l’elenco di tutte le parrocchie della diocesi e nel quale Lollove è collocata fra le ventidue provenienti dalla vecchia diocesi di Ottana a cui era appartenuta.

Dunque, durante il periodo “algherese”, Lollove era sede di prebenda canonicale, in seguito restò una piccola rettoria con un parroco che vi risiedette fino agli anni Venti del Novecento.

Nel XVI secolo venne eretta la Chiesa di Santa Maria Maddelena, probabilmente su un edificio preesistente.

Giacomino Zirottu, nel suo volume intitolato Nuoro, così riporta: “Dalla relazione apprendiamo che nel piccolo borgo pastorale la chiesa di S. Maria Maddalena è in costruzione (en fabrica) ed essendo priva del tetto non si conserva il Santissimo”, si tratta probabilmente del primo intervento di restauro fatto fare dal canonico Pietro Gasole. “Nell’altare maggiore si hanno un frontale di guadamecil (pelle artisticamente dipinta o scolpita), tre tovaglie, il tabernacolo, sei candelabri di legno e due di ottone, oltre la statua dorata della Maddalena. Quando la chiesa sarà terminata – ordina il vescovo – vi sia conservato il Santissimo e si metta una cortina di taffetan alla porticina del tabernacolo. In ottimo stato la crismera (conteneva l’olio per le cresime). Passando all’altare di S. Pietro, si registrano due tovaglie, un frontale di panno e un quadro dorato con l’immagine della Madonna, di S.Pietro e di altri santi”.

Segue, quindi, l’inventario, riguardante alcuni arredi e il bestiame di proprietà della parrocchia: nove greggi di pecore, quattro di capre, tre branchi di maiali, uno di vacche e uno di cavalli.

Sappiamo che nel 1615 Lollove aveva dieci abitanti in più della vicina Locoe, un villaggio oggi scomparso tra Orgosolo e Oliena.

In quell’anno Isalle, il paese più vicino a Lollove, doveva avere una popolazione tra i dieci e i quindici abitanti ed era già destinato a un rapidissimo abbandono. Entrambi facevano parte del Marchesato di Orani.

Nel XVII secolo si intensificò, in tutto il Mediterraneo, il banditismo rurale e anche la Sardegna centro-settentrionale ne fu interessata. Si trattava, non di rado, di “esponenti della ricca possidenza armentaria, del cavalierato parassitario e del basso clero, che alimentano il fenomeno dell’abigeato e del contrabbando”.

Lollove non ne fu immune: favorita dalla sua orografia e dalla presenza di numerose grotte e anfratti fu terreno di attività banditesche e ricovero di masnade più o meno provvisorie.

Recenti e accurate ricerche d’archivio indicano che proprio di Lollove era Mannucho Flore, che insieme ad Andrea Addis, capeggiò una banda “composta da una ventina di uomini, tutti a cavallo e ben armati d’archibugio” che compiva le proprie razzie tra il Goceano e il Montacuto, reclutando continuamente nuovi componenti nei villaggi della zona, in special modo tra Illorai e Benetutti.

Le proporzioni del fenomeno assunsero dimensioni tali da richiedere l’intervento del reggente don Jaime de Aragall, che favorì la nascita di una squadra reale speciale per la lotta a ”Manucho Flore, cabeça de bandeados y ladrones, que tenian oprimìdo no solo el capo de Sasser y Logudor, donde tenian sus casas y habitaciones, pero aun todo este reyno.”

Il risultato fu la cattura e l’impiccagione di diversi componenti della banda. Successivamente, “sotto il viceré don Carlos de Borja, una nuova operazione militare riuscì ad annientare la quadriglia del Flore, che venne ucciso.”

Durante il periodo convulso della guerra di successione spagnola (primi venti anni del Settecento), in seguito alla vittoria dell’Austria che per pochissimi anni controllò la Sardegna, si verificarono mutamenti temporanei nell’assetto proprietario dei feudi; conseguenza di ciò furono gli atti di sequestro delle rendite feudali delle ville di Nuoro, Lollove (Lolloe nei documenti) e Orgosolo.

Così, in data 5 ottobre 1708 venne emanato al maggiore di Lollove, Pietro Maria Sanna, e a quello dell’anno precedente, Giovanni Ruiu, l’ordine di comparizione per iniziare la procedura di confisca. A questo venne acclusa la lista de su feu solen pagare sos vassallos de Lolloe de su annu 1708 (53 persone).

Nel 1753 ci fu l’investitura del marchesato di Orani, a cui Lollove apparteneva, a favore di donna Prudenziana Puertocarrero, in esecuzione di una sentenza della Reale Udienza che poneva fine a un contenzioso tra la vedova e suo figlio. Furono quindi nominati i membri della commissione che, recandosi in tutte le ville del feudo, avrebbero eseguito gli atti relativi all’investitura.

Il 2 Novembre la commissione arrivò a Lollove, che non aveva un sindaco, rinnovando gli stessi riti per la presa di possesso che erano stati compiuti negli altri villaggi. L’assemblea, davanti alla chiesa di Santa Maria Maddalena, si svolse davanti ai pochi vassalli (16-18 persone).

A metà del XIX secolo si ha notizia dei contributi che Lollove, diventato frazione di Nuoro, aveva versato per finanziare l’erigenda cattedrale cittadina. Nonostante ciò, gli abitanti del villaggio lamentavano l’abbandono da parte del comune.

In quegli stessi anni Vittorio Angius descrive così la situazione del borgo: “Rispettivamente alla popolazione il territorio è assai vasto e nelle più parti montuoso. Le fonti sono frequenti, e queste danno origine ad alcuni rivoli, che accrescono uno dei rami del Cedrino. Alcuni tratti sono ricoperti da piante annose ghiandifere di quercia, elce e sovero; quindi sono in gran numero tutte le altre solite specie silvestri.

I cacciatori incontrano in ogni parte una facil preda. Pascolano in questo territorio cervi, cinghiali e daini; e vi han nido molte specie di volatili.

I pescatori trovano anguille e trote in molta copia.

Nell’anno 1838 abitavano in Lollove anime 180 distinte in maggiori d’anni 20, maschi 35, femmine 45, minori maschi 40, femmine 60. Le case sono 33.

Le professioni principali sono l’agricoltura e la pastorizia, e danno opera alla prima uomini 25, alla seconda 20 tra grandi e piccoli. Due o tre fanno altri mestieri.

Delle trentatre famiglie che compongono Lollove, ventisei sono possidenti.

Si sogliono seminare annualmente grano, orzo e fave 6. Il terreno sarebbe ottimo alle viti, ma quei coloni non se ne curano, e però non altri che il parroco si può fare la provvista del vino. Sarebbero de’ siti ottimi per le piante ortensi, e si lasciano impigrire. Non si hanno piante fruttifere. Mentre in altre parti sono i paesani che vendono ai cittadini, i lollovesi solamente vanno a provvedersi da questi delle tante cose di cui mancano.

Si numeravano nell’anno suddetto (1838 n.d.r.) vacche 600, pecore 2.000, capre 500, porci 150. Questi animali pascolano negli estesi salti e nelle tanche.

Le terre chiuse dette tanche sono quattro, che complessivamente conterranno poco meno di tre miglia quadrate.

Il cimiterio è contiguo alla chiesa e sta fuori dell’abitato a pochi passi. Quanti nascono, tanti muoiono in questo paese. I numeri del movimento della popolazione sono nascite due, morti due, matrimonii due.”

Nel 1860 Lollove venne colpita da un’epidemia di vaiolo. Dopo molti mesi il male aveva lasciato dietro di sé 29 morti su 98 infetti per una popolazione complessiva di 238 anime.

A partire dagli anni Cinquanta del Novecento il borgo ottenne finalmente i servizi idrici e fognari, l’elettricità e il telefono, e alla fine degli anni Sessanta venne costruito anche il caseggiato delle scuole elementari, ora in triste abbandono.

Alla fine degli anni Settanta iniziò, però, un nuovo forte declino demografico che ha condotto alla situazione nella quale si trova attualmente il paese. Il rapido decadimento del centro urbano è stato influenzato, non solo dall’attrattiva occupazionale e dalla qualità della vita della vicina Nuoro, ma anche, in misura decisiva, dal suo isolamento, determinato dalle carenze della rete viaria e dei servizi di trasporto.

Il nome

Sono diverse le ipotesi sull’origine del termine.

Dal punto di vista etimologico il nome del paese, Lollobe in sardo, potrebbe essersi originato dal termine sardo arcaico lo’ ò che significava corso d’acqua (una voce simile è golo, ruscello, con la perdita del go iniziale). L’accorciamento della parola sarebbe semplificazione tipica del periodo aragonese e spagnolo. E poi, dal termine sardo arcaico lòbe che significava ghianda. Il termine era riferito alla collocazione del paese, un’area interessata da un bosco di querce ricco di ghiande per i suini e attraversato da un corso d’acqua.

Secondo Eduardo Blasco Ferrer, invece, il nome Lollobe si sarebbe originato dalla parola paleobasca ola (capanna) più il suffisso -obe (conca, cavità), indicando così un agglomerato di capanne presso una conca.

Ancora, Massimo Pittau traduce il nome Lollove con fiore, giglio, margherita. Il suffisso e il suffissoide corrispondono, secondo lui, all’appellativo paleosardo o nuragico Lolloi, cioè, appunto, fiore da confrontare per affinità genetica col latino lilium (giglio), col greco léhirion (giglio)e con l’ittito alil (fiore).

In un primo tempo il Wagner aveva presentato il vocabolo sardo come indigeno, ma più tardi lo aveva spiegato come formazione infantile tratta da lìllu (giglio).

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