Le abitazioni semplici di un tempo andato

Lollove è uno dei pochi villaggi sardi che ha conservato pressoché intatte le tipologie abitative e la pianta di un borgo medioevale agropastorale.

Il paesaggio rurale della Sardegna, così come quello dei piccoli centri di questo tipo, è giunto alla modernità a seguito di una lenta attività di trasformazione continuativa, dovuta spesso a immutate condizioni di mobilità e di scarsa trasformazione socio-economica.

Gli elementi di innovazione, invece, raramente sono stati assimilati dal contesto, e sono stati speso caratterizzati da interventi di bassa qualità e alta invasività.

Il territorio, quindi, è stato recentemente costellato di elementi di dissonante novità, nelle forme e nei materiali, che hanno creato evidenti rotture alla coerenza, anche estetica, del borgo.

Il paese risponde a logiche architettoniche e, si parva licet, urbanistiche, assolutamente coerenti con la storia del resto del territorio di mezza costa che fa capo alle Barbagie e al Nuorese.

Ciò che si nota nelle costruzioni è il carattere di grande essenzialità e sobrietà, la sua razionalità implicita che si esprime mediante alcune “invarianti” costitutive.

Il carattere essenziale delle case è riscontrabile nei materiali per lo più locali e naturali, assemblati in opera con un rapporto estremamente rigoroso tra mezzi e fini.

Sono evidenti le planimetrie per cellule edilizie chiuse ed elementari, senza articolazioni interne e sbalzi (sia nel sistema delle chiusure murarie sia nelle coperture). Le abitazioni, solitamente a un piano, si sviluppano in senso orizzontale: la nuova a fianco della preesistente

La prevalenza assoluta del muro sul telaio costituisce un riferimento molto importante per la “mediterraneità” di queste architetture e di questi paesaggi. La struttura portante è sempre in muratura costituita da pietra non squadrata e legata, tradizionalmente, con fango. Lo spessore dei muri varia dai 50 ai 60 cm. Le fondazioni, non sempre accertate, sono in pietra. Esse sono poco profonde, a volte inesistenti: ciò è determinato dalla natura granitica dei luoghi. Le finestre e le porte sono di piccole dimensioni e i loro architravi sono costituiti da un unico cantone di granito oppure da legno.

Le costruzioni sono cresciute, quindi, per successivi raddoppi in sequenza lineare, cioè l’ampliamento della costruzione avveniva affiancando una nuova struttura all’esistente, evitando costantemente i corpi complessi. Tale principio lo si vede applicato, oltre che alle singole case, anche al modo in cui queste sono aggregate.

Tale sviluppo, in tutta la Barbagia, è testimoniato dalla presenza di cantoni in granito che spuntano lateralmente dalle case per permettere ai nuovi corpi di agganciarsi agli esistenti.

In diversi casi si è assistito alla sopraelevazione di un piano primo. In questo caso l’ossatura portante dei solai intermedi è costituita da travi regolari in legno la cui distanza intermedia è di circa 70 cm, su cui è stato posto il tavolato.

Il primo piano diveniva la zona notte con la cucina, per garantire l’uscita dei fumi del focolare (su fochile), quando ancora il camino non era diffuso.

Il solaio di copertura è un tetto a due falde inclinate. Questo è sorretto da travi in legno, spesso sostenute a loro volta da elementi trasversali curvi, che permettono l’inclinazione della copertura e che vanno a costituire una sorta di capriata. Le travi sono poi sormontate da un letto di canne su cui poggiano le tegole in coppo sardo.

Le regole aggregative di questo tipo di edilizia sono estremamente essenziali e riconducibili alla combinazione lineare di pochi schemi, la cui logica è l’adeguamento alla specificità del luogo e del contesto.

Gli elementi che compongono questa aggregazione non sono soltanto le case, ma naturalmente i recinti a secco per costituire aggregazioni più ampie di corti rurali, di porticati, di fabbricati accessori. Ciascuno di questi elementi si rapporta agli altri a formare disposizioni interne in cui lo spazio racchiuso (la corte) è l’elemento generatore fondamentale.

Se la cucina andava a occupare il primo piano, il piano terra e la corte divenivano luoghi di immagazzinamento, di lavoro e di apertura (o chiusura) sociale.

In simbiosi con il paesaggio

Il rispetto del paesaggio, con la prevalenza di case basse e a unico piano (al massimo con semplice raddoppio in altezza) e la disposizione a seguire le pendenze con corpi sfalsati, è tipico di Lollove e di tutto il territorio.

Le tecnologie premoderne, i materiali, gli stili di vita e di lavoro, il rapporto “di necessità” con la natura, hanno concorso a determinare ciò che si definisce aderenza al paesaggio: l’edificio è sempre basso e defilato, mentre l’unico segnale territoriale eccezionale (il campanile della chiesa) rompe questo profilo.

Gli edifici si dispongono a schiera rispetto alla strada e sono allineati a formare un unico fronte che segue l’andamento della via. La strada è spesso uno stretto canale definito da argini costituiti proprio dagli allineamenti delle case. Ma le varianti tipologiche sono molteplici e i due elementi fondamentali sono l’alloggio e la corte.

Le case dai tetti a capanna a un solo piano, addossate le une alle altre, sono costruite da conci in granito legati da calce magra o fango lungo una ragnatela di stradine e vicoli acciottolati o sterrati (in buona parte ricoperti d’erba) che conducono, quasi immancabilmente, alla chiesetta di Santa Maria Maddalena.

A Lollove, nel suo paesaggio rurale, il pieno è un’eccezione nell’assoluta prevalenza del vuoto, e il recinto di pietre murate a secco è la prima forma di umanizzazione dello spazio campestre.

La simbiosi con il paesaggio è costituita in modo significativo dall’ecologia della costruzione locale, caratterizzata da un accorto approvvigionamento di materiali reperiti nel contesto ambientale circostante. Unica eccezione è proprio la trachite rosa utilizzata per la chiesa, proveniente dalla, comunque non lontana, valle del Tirso.

È molto importante segnalare che nella maggior parte degli insediamenti rurali sparsi le comunità tendono a disporsi, di preferenza, lungo i percorsi di collegamento. Naturalmente questa scelta è stata dettata da precise esigenze di economia degli spostamenti e di infrastrutturazione.

Anche in epoca moderna, a Lollove, l’infrastruttura stradale rivestiva un carattere di rarità che ne raccomandava l’uso razionale e privo di sprechi: basta sottolineare il fatto che, prima della realizzazione della strada che passa per Preda Istrada e Locùla, il percorso che si faceva per andare da Lollove a Nuoro prevedeva l’ingresso in città dal quartiere di Ugolio.

Le recenti acquisizioni in materia di ecologia del territorio confermano la bontà di questo approccio che minimizza l’apertura di percorsi non necessari e prevede il posizionamento dei fabbricati di nuova costruzione quanto più possibile nei pressi delle strade esistenti.

In via Nino Bixio, asse strategico del paese, era presente un antico monastero di monache francescane, attivo fino a tutto l’Ottocento e votato a San Luigi dei Francesi, uno dei santi protettori dei lollovesi. In seguito l’edificio è stato riutilizzato come casa privata.

Su via Bixio, in altri tempi, scorreva un ruscello (oggi tombato) che attraversava il villaggio e lo divideva in due: il quartiere sottostante la chiesa, al di qua del rio, era chiamato Custa Banna, e quello al di là del torrente, collocato più a est, era Cudda Banna.

La località dei coltivi che sovrasta il paese si chiama Binzas. Sotto la strada principale si trova il piccolo cimitero.

A cinquecento metri a ovest del centro abitato, sulla strada comunale per Nuoro, c’è la copiosa fontana di Lollove, la cui struttura è stata realizzata nella prima metà del 1900.

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